Prezzo Petrolio: Perché Non è Influenzato Dagli Eventi Geopolitici
A differenza del passato, oggi i mercati sembrerebbero più immuni dagli eventi geopolitici. Crisi internazionali, guerre e attentati non hanno più lo stesso peso sull’andamento dei prezzi delle azioni. Ma, soprattutto, sull’andamento del prezzo del petrolio. Di recente, i listini azionari e le quotazioni del barile hanno continuato a correre persino all’indomani della strage di Manchester e di Londra.
Questo essere cinici e indifferenti agli eventi geopolitici, che caratterizza soprattutto il prezzo del petrolio, è dovuto principalmente alla stessa ragione “distrae” le borse dagli attacchi terroristici. Esiste probabilmente un effetto assuefazione, che peraltro è giustificato dall’esperienza passata: se gli investitori non sono rimasti scottati in occasioni simili, la reazione emotiva si attenua al ripetersi dell’evento.
È più difficile aver paura se in tempi recenti altre crisi o altri attacchi non hanno diminuito gli approvvigionamenti (nel caso del petrolio) o gli utili (nel caso di società quotate).
Tuttavia, questa indifferenza alla geopolitica del prezzo del petrolio viene rafforzata se sul fronte dei fondamentali ci si sente tranquilli. Quando il petrolio scarseggia il rischio, anche solo teorico e remoto, di interruzioni dell’offerta provoca ovviamente una certa ansia. Ma se consideriamo gli ultimi tre anni, il mercato è alle prese con il problema opposto: ce n’è in abbondanza! Soprattutto (ma non solo) per l’avvento dello shale oil negli Stati Uniti, il mondo ha infatti accumulato riserve petrolifere enormi, che tuttora non riesce a smaltire, nonostante l’Opec e altri undici Paesi abbiano ridotto la produzione di 1,8 milioni di barili al giorno.
Gli stessi tagli Opec hanno avuto l’effetto collaterale di accrescere la cosiddetta capacità di riserva, ovvero di una produzione di greggio che può essere “riattivata” in caso di necessità o particolari emergenze. L’ansia, quindi, è al momento ingiustificata. Che riguardi persone o…macchine. La presenza di fondi algoritmici infatti (impostati da persone, ma non dotati di emozioni emotivi come dei trader in carne ed ossa) è cresciuta enormemente anche nei mercati delle materie prime.
Un recente studio americano, basato su dati del Cme Group, ha evidenziato che nel biennio 2014-2016 i volumi di scambio generati da software hanno raggiunto il 63% nel caso del greggio al Nymex, che rappresenta la percentuale più elevata di tutte le materie prime (per i metalli preziosi si è arrivati al 54%).
Prezzo del Petrolio
C’è da dire però che anche in passato sono stati davvero pochi gli eventi geopolitici che hanno causato gravi ripercussioni al mercato petrolifero. A memoria d’uomo, due sono stati gli avvenimenti più significativi in questo senso: l’embargo arabo del 1973 (che fece quadruplicare il prezzo del petrolio al barile) o la Rivoluzione iraniana e la guerra Iran-Iraq dei primi anni ’80, che lo fecero raddoppiare nel giro di tre anni. Recentemente, la rottura delle relazioni diplomatiche dei paesi del Golfo con (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto) con il Qatar, non ha portato a ripercussioni minimamente paragonabili agli eventi del passato.
Tuttavia, vi saranno delle ovvie conseguenze. Il commercio di materie prime nel settore dell’energia e non solo, è entrato in crisi. La norvegese Norsk Hydro, ad esempio, ha reso noto che non riesce più a esportare alluminio dall’impianto Qatalum, che possiede in joint venture con Qatar Petroleum, e che trovare soluzioni alternative per le consegne in Europa, Asia e Stati Uniti è difficile e richiederà tempo.
Trasportare il greggio del Qatar, infatti, non è operazione facile in quanto necessita di più petroliere alla volta. E visto che i paesi confinanti hanno chiuso le loro acque territoriali e i loro porti al paese, le petroliere sono costrette a deviazioni fino a Singapore solo per un “pieno” di carburante, allungando i tempi e i costi dell’operazione.
L’unica concreta “speranza” è l’Egitto, che per ora non ha posto limiti ai trasporti marittimi, ma che potrebbe teoricamente impedire l’accesso all’importante Canale di Suez. A quel punto sarebbe davvero un disastro, soprattutto per i carichi di Gas naturale liquefatto (Gnl), di cui il Qatar è il maggior fornitore mondiale con circa un terzo dell’offerta totale.